Carcere Spielberg
T E R E S A C O N F A L O N I E R I
Eroina del Risorgimento
La contessa Teresa Confalonieri Casati nacque a Milano, il 17 settembre 1787 dal conte Gaspare Casati e da Maria Origoni. Dotata di angelica bellezza, d’indole soave e di miti costumi, pur vivendo nella grandezza e nella ricchezza della sua nobile famiglia, si adornava di grande modestia e semplicità. Caritatevole e pia, soccorreva gli afflitti, che, attratti dalla fama delle sue beneficenze, ricorrevano a lei in cerca di aiuto e di conforto. Il 14 ottobre 1806 sposò il conte Federico Confalonieri, appartenente a ricca e distinta famiglia lombarda di antica nobiltà. Giovane d’eletto ingegno, d’animo forte e dal carattere robustissimo, amava molto il suo paese al bene del quale consacrò la sua ricchezza, il suo ingegno e la sua anima. Dama di corte della viceregina d’Italia, Amalia Augusta di Baviera, moglie di Eugenio di Beauharnais, la contessa ebbe all’inizio simpatie per il regime napoleonico che via via si andarono spegnendo per l’influenza del marito, del quale condivise le idee liberali. Quando, per iniziativa del Confalonieri, venne pubblicato il “Conciliatore” (1818-19), fu la contessa ad informare segretamente il marito, nei periodi di assenza da Milano, delle reazioni della gente e delle autorità austriache nella città. Da ciò si deve ritenere che la contessa conoscesse bene i rapporti che il marito cominciò ad intrattenere con quel gruppo di aristocratici piemontesi che preparavano l’insurrezione contro l’oppressore austriaco. Il movimento rivoluzionario, per ottenere l’espulsione dello straniero, aveva raggiunto nel 1820 il periodo di massimo impegno. In Milano, a capo della Società segreta dei Carbonari, era stato prescelto il conte Federico Confalonieri per le sue doti patriottiche e per le sue iniziative rivoluzionarie. Egli fu anche incaricato di formare un governo provvisorio ed organizzare una milizia cittadina prima che scoppiassero i moti rivoluzionari. E la rivoluzione scoppiò minacciosa nel marzo del 1821. La polizia austriaca, che vigilava con attenzione servendosi di qualsiasi mezzo per ottenere informazioni, seppe i nomi dei fautori della rivolta e cominciò per primo a condurre in prigione il conte Confalonieri, strappandolo dalle braccia della moglie che invano aveva indicato al marito una porticina segreta per scappare. L’irruzione poliziesca avvenne la sera del 13 dicembre 1821 ed oltre all’arresto del marito la contessa dovette subire anche gli insulti dei gendarmi. Il processo durò due lunghissimi anni, che la contessa visse nell’angosciosa attesa della liberazione del marito, mai pensando ad una eventuale sentenza capitale. Nonostante gli interventi ed interessamenti presso il governo austriaco, alla fine del processo, il conte Confalonieri venne condannato a morte dal Tribunale Supremo austriaco. Prima che la sentenza fosse pronunciata, la contessa fu segretamente avvertita. In compagnia del suocero e del proprio fratello, il conte Gabrio Casati, sfidando il freddo della stagione, le strade coperte di neve ed i ghiacci delle Alpi, la contessa partì subito alla volta di Vienna e vi giunse il giorno stesso in cui la sentenza era stata confermata dall’imperatore. Teresa Confalonieri, benché avesse l’animo abbattuto dal dolore ed il corpo affranto dalle fatiche del viaggio, non si perdette di coraggio, e presentata da un alto personaggio di Corte, ottenne che fosse trattenuto per poche ore il corriere che doveva consegnare la fatale sentenza. Frattanto, con mille espedienti, riuscì a farsi fissare dall’imperatore Francesco I, una udienza straordinaria. Col vecchio suocero si presentò innanzi all’imperatore ed ambedue, prostrati a terra, implorarono pietà. L’imperatore, furibondo, oppose un gelido rifiuto, ben sapendo che la sentenza doveva essere eseguita entro breve tempo. La povera contessa, che non disperava mai, chiese ed ottenne, grazie all’interessamento di una Dama di Corte, di essere ricevuta dall’imperatrice Carolina Augusta il 24 dicembre 1823. Questa, commossa dalle suppliche e dall’angoscia che si vedeva sul volto angelico della Confalonieri, violando le regole di Corte, promise d’intervenire favorevolmente presso l’imperatore. La contessa il giorno successivo si mise subito in viaggio, divorando la via che conduceva a Milano : l’ansia ed il timore le facevano sembrare un nulla il freddo e le bufere che imperversavano sulle Alpi. Giunta nella sua città, s’adoperò per far sottoscrivere dai più illustri cittadini dell’aristocrazia e della borghesia milanese, una petizione di grazia per il marito. Chiese anche l’intervento della duchessa Maria Luigia di Parma, figlia di Francesco I. L’imperatore l’8 gennaio 1824 decise di commutare la pena di morte, inflitta al Confalonieri, nel carcere duro a vita da scontarsi nella fortezza dello Spielberg, in Moravia. La contessa Teresa era così riuscita a salvare la vita del marito, a lei tanto preziosa. Ma non si rassegnò neppure alla prigionia del suo consorte e, da quel momento, con ogni mezzo, finché la salute la resse, cercò di evitargli il carcere perpetuo in quella terra così lontana. Dopo numerosi ed inutili viaggi a Vienna per ottenere una riduzione della pena, o il trasferimento in un carcere meno duro, o un trattamento più umano, la povera contessa, alla fine, tentò di farlo evadere dallo Spielberg con la collaborazione di amici fidati. Consumò le proprie sostanze per organizzare un piano sicuro di evasione e per trovare complici e mezzi che potessero agevolare la fuga del conte dalla munita fortezza, ma la trama alla fine fu scoperta dalla polizia austriaca (grazie alle informazioni fornite dal governo sardo in base all’allineamento con la politica della Santa Alleanza attuato dal Regno di Sardegna dopo i moti del 1821) e per il Confalonieri, che, fra l’altro, non voleva abbandonare i compagni di sventura, non ci fu più niente da fare. Fallito nel 1829 il progetto di evasione, la contessa, già gravemente ammalata, chiese all’imperatore di poter seguire il marito o almeno che le venisse concesso di vederlo di tanto in tanto, scegliendo apposta a propria dimora la città di Brno, dove si trovava la terribile fortezza : ma l’imperatore austriaco le negò tutto. Teresa Confalonieri, non potendo fare altro, pregò il Manzoni, tramite la marchesa Parravicini, di compilare una nuova supplica per l’imperatore Francesco I, affinché le facesse trascorrere i suoi ultimi giorni di vita accanto all’amato marito.
La supplica datata 12 febbraio 1830 non ebbe mai risposta.
Consumata dal dolore, la nobile eroina, morì a Buccinago, in Brianza, il 26 settembre 1830.
Manzoni dettò l’iscrizione che venne posta sulla sua tomba, all’amica “forte e soave” :
“Partecipò con l’animo, quanto ad opera e ad animo umano è conceduto, consunta ma non vinta dal cordoglio, morì sperando nel Signore degli afflitti”.
Il conte Federico Confalonieri nel 1835 fu graziato a condizione che si recasse in esilio in America, ma rientrò ugualmente in Europa nel 1837.
La fortezza dello Spielberg, che domina la città di Brno in Moravia, resa famosa da “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, è, ancora oggi, meta di numerosi turisti che desiderano visitare quel carcere, che fu uno dei più orribili esistenti in Europa. Oggi il castello dello Spielberg è un monumento, nel quale si raccolgono i ricordi dei prigionieri che soffrirono in quel carcere per i propri ideali di libertà e per il progresso della loro patria. Entrando in Brno, una delle più belle e più ricche città della Moldavia, il visitatore scorge subito due monumenti : il castello di Brno sullo Spielberg e la Cattedrale, che sorge nella parte più antica della città, denominata Petrov. Il castello, conosciuto per le sue prigioni e per le camere di tortura, è per noi italiani tristemente famoso per essere stato il luogo di prigionia dei Carbonari come Silvio Pellico, Pietro Maroncelli, Giorgio Pallavicini, Fortunato Oroboni, Federico Confalonieri, Pietro Borsieri. Lo Spielberg, costruito nel secolo XI, al tempo delle guerre dei Trent’anni, dimostrò di essere una fortezza inespugnabile. Durante il regno di Maria Teresa d’Austria, verso il 1700, la fortezza fu adibita a carcere, che fu uno dei più duri d’Europa. In esso furono rinchiusi gli oppositori politici degli Asburgo ed i sudditi malcontenti, nonché i delinquenti comuni. I prigionieri vivevano in condizioni durissime e la maggior parte moriva in carcere. Le norme del carcere furono rese meno dure dall’imperatore Giuseppe II. Al tempo delle guerre di Napoleone, la città di Brno e il castello, che da carcere ritorna ad essere utilizzato come fortezza, caddero in mano dei francesi e l’imperatore Napoleone, prima di partire da Brno, dette l’ordine di distruggere le basi della fortezza e dell’armeria e fece riempire i pozzi d’acqua esistenti con terra. Successivamente però, sotto il governo austriaco, il castello fu di nuovo trasformato in carcere e ritornò ad essere il carcere più duro dell’Austria, nelle cui celle languirono oltre ai Carbonari italiani anche i 190 polacchi che avevano partecipato alla fallita insurrezione di Krakovia. Detto carcere, chiuso nel 1855 dal governo austriaco, fu riaperto nel 1939 dopo l’occupazione nazista della Cecoslovacchia e di nuovo patrioti boemi, polacchi e italiani popolarono le sue tristi celle. I nazisti fecero dello Spielberg un campo di raccolta e di concentramento di prigionieri ed in 15 mesi ben 80 mila furono i detenuti politici ; una parte di essi fu uccisa, i rimanenti furono trasportati nei campi di sterminio di Auschwitz. Pochi mesi prima della fine della guerra e cioè all’inizio dell’anno 1945, i nazisti in fretta costruirono nella parte sottostante al castello le casematte e la ghigliottina, ma i loro intenti non furono portati a termine perché l’armata sovietica liberò Brno nei giorni 25 e 26 aprile 1945 e la ghigliottina che era stata preparata per il massacro dei prigionieri ancora chiusi nello Spielberg, non poté entrare in funzione. All’ingresso del castello, su una lapide murata, si legge la seguente dedica del “Primato morale e civile” del Gioberti al Pellico (1843) :
“LO SPIELBERG NON SARA’ PIÙ’ INFERNO DEI VIVI NE’ INFAMIA DEL SECOLO, MA RELIQUIA DI MARTIRIO E MONUMENTO DI VIRTÙ’ CUI CONVERRANNO IN PELLEGRINAGGIO LE REDENTI GENERAZIONI”.
Il castello è costituito da tre piani :
Piano sotterraneo : in esso i nazisti nel 1945 costruirono delle casematte e molte celle. I condannati venivano calati nel carcere sotterraneo da un buco. Vi erano le camere di tortura, la ghigliottina ed il centralino telefonico nazista.
Piano superiore : era adibito a prigione dura per prigionieri rei di alto tradimento. Vi erano le celle di Silvio Pellico e di Pietro Maroncelli ; quella della contessa Adelaide Filangieri di Napoli ed anche quella della sua cameriera personale, che volle seguirla nel carcere, nonché le celle degli altri Carbonari.
Piano delle casematte dette di Leopoldo : era il piano delle camere di tortura e cioè : la “camera della fame”, nella quale le vittime venivano lasciate senza cibo, acqua e luce ; il “letto bagnato” era destinato alle donne colpevoli di trasgressione alla morale di quei tempi. Esse venivano punite senza cibo e sottoposte allo stillicidio di una goccia d’acqua che cadeva periodicamente sulle loro teste, provocando la pazzia o la morte ; la “ruota per estendere” veniva adoperata per gli interrogatori. In un’altra ala del castello vi era la cella in cui furono trasferiti Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, negli ultimi anni di prigionia, quando fu consentito loro di studiare e di scrivere. La cella era più ariosa ed era fornita di un tavolo su cui poter lavorare.
Uscendo dallo Spielberg viene spontaneo convenire e constatare che l’uomo, purtroppo, quando non riesce a far prevalere la ragione, è peggio delle belve.
Lucio Causo