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PROSA & ARTE
28/09/05 POESIE, PROSE, RACCONTI
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LUISASTELLA BERGOMI
Bergomi Luisastella: giornalista pubblicista scrive articoli di cultura e critica d’arte. La tensione verso la ricerca storica e l’amore per la scrittura hanno portato alla pubblicazione di alcuni volumi di storia lodigiana:
- 1997, La Battaglia al ponte di Lodi – sul fiume Adda”
- 1998, Il castello di Pandino
- 1999,Il vescovo Carlo Pallavicino
- 2000, Maria nell’arte minore popolare – Le Devozioni lodigiane
Scrive poesie da sempre ed ha pubblicato la sua prima raccolta dal titolo “Echi d’attesa”
IL DISEGNO MANDALA:
"IMMAGINE DEL SE"
Il mandala, che in sancrito significa cerchio, è una figura geometrica dalla forte carica simbolica e terapeutica, allegoria di unità ed universalità, principio e fine, partenza ed arrivo e perciò eternità, rinascita. Il cerchio simbolizza,infatti, l’universo ed il divino ed al contempo la terra, il sole, la luna e si dice che disegnare il Mandala dia un senso di pace e che sviluppi la concentrazione ed il pensiero logico, portando l’individuo alla conoscenza interiore. Fu lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung ad applicare la parola mandala ai disegni circolari eseguiti dai suoi pazienti, vedendoci la simbolizzazione della psiche umana, alla quale è possibile avvicinarsi pur non conoscendone l’essenza, attraverso la contemplazione di immagini che comunicano sentimenti di serenità e di ordine. Nella dimensione religiosa il Mandala rappresenta una sintesi dello spazio cosmico, nel cui centro si trova la divinità e molti riti religiosi iniziano tracciando un cerchio il cui interno diviene spazio sacro. All’interno il cerchio può inoltre contenere altre figure geometriche, quali il quadrato ed il triangolo ed essere a sua volta contenuto in esse ( Induismo e Buddismo) I mandala tibetani comprendono, oltre le forme del cerchio e del quadrato, innumerevoli figure, simboli e motivi ornamentali. Nei riti di iniziazione buddisti e tibetici il mandala elaborato con granelli di sabbia multicolore diviene il gradino per prepararsi all’illuminazione ed i monaci, dopo un periodo di contemplazione di molti giorni, distruggono il mandala disperdendolo nel vento sul fiume, raro esempio di distacco dalla realtà materiale. E l’uso del mandala nei secoli è testimoniato anche in Europa, con splendidi esempi nei rosoni delle cattedrali gotiche, che indirizzano i fedeli alla reverente elevazione all’armonia cosmica voluta e creata da Dio. Quindi, è molto di più di un cerchio colorato, é figura mistica che emette energia e quel senso di pace con se stessi e con l’universo che diviene il traguardo della meditazione. E disegnare questa “figura mistica” diviene un modo per conoscere meglio se stessi, liberare la fantasia ed aprire uno spiraglio sul proprio mondo interiore. Esercizio creativo e rilassante così efficace che stupisce sempre chi lo produce, l’uso del mandala rappresenta una vera e propria meditazione volta alla crescita personale ed all’arricchimento spirituale, allentando tensioni e donando quella lucidità mentale così importante per affrontare la vita odierna.
ESERCIZIO MANDALA:
Occorrente:
1 foglio da disegno cm. 32x50 peso medio
1 compasso – 1 righello – 1 riga lunga – matita – gomma – temperino
1 scatola di matite colorate
Disegnare con il compasso un cerchio di cm.30 di diametro lasciando le coordinate centrali a x e poi segnare i punti Est – Ovest – Nord – Sud: nel cerchio verrà svolto il disegno. Chiudere gli occhi e fissare l’attenzione dentro se stessi, cercando di lasciar fluire sensazioni, rilassandosi. Aprire gli occhi ed iniziare il disegno, senza fretta, tracciando linee, cerchi, triangoli, quadrati che confluiranno verso il centro, dove convergeranno tutte le energie, fulcro di tutta l’opera. Il mandala può essere realizzato anche a mano libera, ma deve essere sempre simmetrico ed avere un centro, rappresentazione di noi stessi e del nostro pensiero più nascosto.
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IL BOSCO DELLA GIOIA
LA LUMACA CHE AVEVA PERSO LA CASA
Nel bosco aveva appena smesso di piovere, ma dai rami e dalle foglie scendevano ancora grosse gocce che, appena toccavano terra, si frantumavano in migliaia di altre goccioline e se per caso incontravano un raggio di sole entrato a far capolino, si coloravano delle tinte fosforescenti dell’arcobaleno. L’aria profumava di muschio e di pulito, mentre un leggero vapore saliva dalla terra, insinuandosi nel sottobosco ed accarezzando le grosse radici che sporgevano dal terreno, facendo così il solletico ai grandi alberi secolari. Questi allungavano i rami fino al cielo, con un gran fremere e ridere di chiome, mentre l’orizzonte si colorava di azzurro e da un punto indefinito partiva l’arcobaleno, che cingeva in un enorme abbraccio la piccola foresta bagnata. Gli usignoli, saliti sulle fronde più alte salutavano l’evento con un gran cicaleccio, zufolando la canzone dell’allegria e del sole ridestato, mentre dai nidi ancora inzuppati uscivano piccole testoline di allodole, che allungavano il collo per osservare meglio. I merli partecipavano alla letizia generale con lunghi fischi, mentre le femmine, sempre previdenti, avevano già iniziato a riordinare i graziosi giacigli nascosti alla perfezione ed a rassettarsi le penne bagnate con le quali avevano protetto i nuovi nati, ancora così piccoli che quasi non aprivano gli occhi, ma con i beccucci spalancati e sempre pronti a ricevere il cibo. Da ogni parte giungevano canti e gorgheggiamenti, che si univano in una melodia perfetta, che rimbalzava di foglia in foglia, s’infrangeva sulle gocce ancora a mezz’aria, s’impigliava nelle grandiose ragnatele imperlate di stille multicolori, scendeva dai tronchi e giungeva a terra, per poi ritornare a volare verso il cielo. Più in basso, sul tappeto di foglie accumulate dal vento scorrevano rigagnoli d’acqua canterini che si disperdevano in mille fili sottili e gorgoglianti, moltiplicati all’infinito: molti sparivano subito nel terreno, altri correvano baldanzosi per lunghi tratti, alcuni riaffioravano zampillando quasi dal nulla. Il bruco Pelosino si faceva largo a fatica tra gli enormi ostacoli che intralciavano il suo cammino, tra fili d’erba, foglie secche e ricci vuoti, con uno sforzo quasi superiore alle sue forze ed ogni minuto si fermava per riprendere fiato. Tutto intento a superare gli ostacoli ed a bagnarsi il meno possibile, stava anche molto attento a tutto ciò che accadeva intorno a lui. Non era sua intenzione, infatti, trasformarsi in un bocconcino prelibato per qualche tordello o colombella che si sarebbero potuti trovare casualmente sulla sua strada. Non poteva perciò sfuggire alla sua vista allenata una piccola massa informe e biancastra aggrappata ad una foglia. La curiosità di Pelosino non ammetteva tentennamenti, perciò lui si stava avvicinando, sempre guardingo per non trovare brutte sorprese, ma voleva vedere meglio quella cosa umida ed indefinita che ora si stava contorcendo per aggrapparsi meglio al suo instabile appiglio. Infatti, un movimento forse un poco brusco fece piroettare la foglia su se stessa , facendola partire velocemente sul ruscelletto d’acqua che si era appena leggermente ingrossato, portando con se, come una conchiglia, il suo piccolo carico. Pelosino la vide fermarsi poco più avanti, bloccata da una radice sporgente. Sbuffando un poco il bruco riprese il cammino e, non senza fatica, raggiunse la foglia appena schizzata via. Dopo un lungo respiro Pelosino si appoggiò al lungo picciolo della foglia ormai già un poco rovinata ed ergendosi in tutta la sua ragguardevole altezza di qualche centimetro, guardò dentro. Due occhietti spalancati lo stavano osservando, mentre tutto il corpicino bianco tremava spaventato. Pelosino decise che la cosa migliore doveva essere quella di intavolare una seppur minima conversazione, tanto per rompere il ghiaccio.
Ciao, mi chiamo Pelosino e tu come ti chiami?
Per tutta risposta ci fu un enorme starnuto che fece rimbalzare la foglia, che ripartì di gran carriera sul rigagnolo d’acqua, mandando gambe all’aria Pelosino.“Uffa” pensò Pelosino “ è tutto da rifare”. Ma siccome non aveva altro da fare, ricominciò il suo cammino verso la foglia, sempre attentissimo a non lasciarsi sorprendere da qualche importuno ghiottone di bruchi. E pian piano arrivò alla sua meta, si alzò più che poté sulle zampette per guardare dentro:
Ciao – riprese a dire – come stai?
Ciao – gli rispose una vocina tutta affannata e spaventata – non vedi come sono ridotta? Ho pure perso la mia casa!
La tua casa?- disse Pelosino un po’ stupito - ..e dov’era questa casa? Chi è stato a farti questo?
Ma il temporale…..!!!! rispose quella un po’ irritata
Pelosino non riusciva ancora a capire bene, ma non si azzardò più a chiedere altre spiegazioni per non fare la figura dello sciocco ed osservò più attentamente quell’esserino spaurito. Ma certo, come aveva fatto a non riconoscerla: quella era una povera lumachina senza la sua casetta sulla schiena e quindi, quasi irriconoscibile!
Oh… sì sì sì!!!!! – cominciò a dire Pelosino ed intanto già cominciava a pensare come fare per aiutare quella piccola creatura indifesa. Iniziò con il presentarsi:
Io mi chiamo Pelosino – disse – e tu come ti chiami?
Piacere, Giacomina – rispose la lumachina. E subito cominciò a piangere così abbondantemente che nella foglia in cui si trovava si stava già formando un laghetto di lacrime.
Oh….no,no,no!!!!!! esclamò Pelosino – Non fare così! Non piangere altrimenti qui ci facciamo un altro bagno…..ti prego… Piuttosto raccontami per bene quello che ti è successo- Intanto cercò di appoggiarsi più comodamente alla foglia, trattenendola con le sue zampette per non farla scivolare via un’altra volta.
Facendosi coraggio la lumachina smise di piangere e con la voce ancora rotta dai singhiozzi cominciò a spiegare a Pelosino la sua brutta avventura.
Come avrai visto – iniziò a raccontare - stamattina il cielo si è fatto scuro all’improvviso ed il bosco è ripiombato nel buio della notte, mentre il vento soffiava fortissimo a scompigliare le fronde degli alberi, che si piegavano e gemevano con grande scricchiolio di legno. Tutti gli animali prima rimasero un po’ di tempo con il naso in aria ad annusare il vento, stupiti e disorientati, non sapendo bene cosa fare. Poi a tutti parve chiaro che ci si doveva nascondere ed in gran fretta, per non farsi sorprendere dalla pioggia, ma soprattutto per mettersi al riparo dai fulmini che avrebbero potuto colpire indiscriminatamente gli alberi. Nessuno infatti avrebbe voluto diventare improvvisamente un mucchietto di cenere fumante! Intanto i tuoni percuotevano la terra come tamburi impazziti rimbalzando su ogni fusto d’albero, scuotendo il terreno e raggiungendo ogni anfratto del bosco, ogni tana, tanto che pareva di non avere proprio scampo.
Eh… sì – disse Pelosino – ce la siamo vista tutti molto brutta!!! Pensa, io sono riuscito giusto in tempo a salire sopra un cespuglio ed a nascondermi sotto una grossa fronda che, come un ombrello, mi ha riparato un po’ dall’acqua….. anche se il vento portava raffiche di pioggia che mi hanno inzuppato.
Quando è arrivata la pioggia – continuò Giacomina – io stavo ancora cercando un riparo, ma la fortuna non mi ha assistita ed in un attimo mi sono ritrovata fradicia. La mia casa cominciava a pesarmi terribilmente sulle spalle… quando iniziò a grandinare. Allora non ho trovato niente di meglio che raggomitolarmi in casa ed attendere che passasse la bufera. Sono riuscita a trovare un appiglio su una grossa radice che sporgeva dal terreno e pensavo di essere al sicuro ma, sebbene le chiome degli alberi facessero schermo, molti chicchi di ghiaccio mi raggiungevano picchiando rumorosamente sul dorso esposto della mia abitazione.
Ma non potevi proteggerti meglio? – chiese Pelosino, rivivendo attraverso il racconto della lumachina quegli attimi spaventosi.
Impossibile – rispose Giacomina – tronchi e radici erano ormai diventati pericolosamente scivolosi ed io non potevo muovermi, altrimenti sarei caduta nelle pozzanghere che si erano formate nel terreno sottostante. Non mi restava che attendere pazientemente che cessasse il temporale, ma all’improvviso successe l’inevitabile: qualcosa mi ha colpita violentemente ed io ho sentito uno schianto sulla schiena così forte, … ma così forte, che in un baleno mi sono ritrovata nuda come un verme lì, abbarbicata alla pianta.
Ohhh… - Pelosino non trovò niente di meglio da dire.
Quando mi ripresi dallo stupore e dalla paura per quello schianto fortissimo mi accorsi di cosa era successo: la mia casa….la mia povera casa era andata in pezzi! Infatti, la potevo vedere frantumata poco distante, accanto ad una grossa pigna caduta dall’alto! Una vera tragedia! Allora, quando il temporale è cessato non ho trovato niente di meglio che arrampicarmi su questa foglia ed attendere….. ma ora non so più cosa fare ed ho tanta paura…..
Dopo aver detto queste parole Giacomina ricominciò a piangere, inondando di lacrime la foglia su cui era aggrappato anche Pelosino.
Senti – disse il bruco un poco spazientito da tutte quelle lacrime che probabilmente gli avrebbero fatto fare molto presto un altro bagno indesiderato – smetti di piangere per favore perché non serve a niente e cerchiamo una soluzione al tuo problema. Prima di tutto non puoi restare qui in eterno, questa foglia è già tutta rovinata e non é prudente rimanere così allo scoperto. Dobbiamo trovare un riparo ed intanto potremo pensare a cosa fare prima di domani…ti andrebbe qualcosa da sgranocchiare? Mi è venuta una fame…..
Giacomina non si aspettava questa piccola ramanzina e restò al principio un po’ stordita, ma poi cominciò a capire quello che aveva voluto dire Pelosino e, seppure ancora impaurita, si accorse di non essere più sola: il bruco sembrava proprio intenzionato ad aiutarla e lei decise di seguire i suoi consigli.
Intanto Pelosino aveva trovato alcune tenere foglioline staccate dal vento da un cespuglio lì accanto ed aveva iniziato a divorarle con una velocità portentosa. Giacomina restò per un po’ a guardarlo stupita, poi sentì un languorino che in un attimo si trasformò in una fame spaventosa. Perciò, iniziò a muoversi lentamente, lasciandosi dietro la sua piccola scia di bava, per abbandonare quel comodo posticino in cui stava già da qualche ora, pronta ad affrontare, accanto a Pelosino, questa grande avventura. Ecco fatto, poco dopo si ritrovò, un po’ sperduta a dire il vero, sul terreno accanto al bruco e, dimenticando tutto, iniziò a mangiarsi quelle tenere foglioline e quei fili d’erba verdissimi ed ancora umidi di pioggia.
Umhh… ci voleva proprio – disse Pelosino soddisfatto dell’abbuffata vegetale – l’arietta frizzante mi ha stimolato l’appetito. Ma vedo che non sono l’unico…..- continuò canzonando un po’ Giacomina, tanto per alleggerirle lo spirito. Infatti riuscì a strappare un sorriso alla lumachina, che lo guardò riconoscente con in bocca ancora una manciata di fili d’erba. Il bruco, con la pancia piena e di conseguenza, con le idee più chiare, riprese a guardarsi intorno attentamente pensando ad una soluzione per il problema della lumachina che, senza una casa non poteva di certo stare. Cosa fare allora? A chi chiedere aiuto, chi cercare? Subito si rese conto di poter contare solo sulle proprie forze, ma non si perse d’animo. Pensando volgeva intanto lo sguardo intorno in cerca di una buona idea e cominciò a spostarsi sul morbido tappeto di foglie, perlustrando buona parte del terreno circostante. Pelosino guardava e pensava, pensava e guardava. Tanto pensò che gli venne l’idea fortunata.
Vieni con me – disse a Giacomina, iniziando a muoversi e tornando sui propri passi verso un gruppo di alberi che aveva incontrato quando cercava di raggiungere la foglia su cui era schizzata via la lumachina. Là aveva visto qualcosa che in questo momento poteva tornare utile. Giacomina lo seguì con fiducia, anche se non capiva ancora cosa avesse in mente il bruco. E lui camminava, camminava guardandosi intorno: - Ma dove sono finiti? Mi pareva che fossero proprio qui! – borbottava sbuffando ed arrancando sul terreno, fino a quando giunse in una piccola radura verdeggiante piena zeppa di ricci di castagne caduti dagli enormi alberi.
-Questi possono servire… - disse Pelosino avvicinandosi e scegliendo tra i ricci quelli vuoti ed il più possibile integri. Ne scostò alcuni che si rivelarono troppo rovinati e finalmente ne trovò uno veramente perfetto. Con le sue mandibole allenate lo divise a metà e soddisfatto chiamò Giacomina.
- Vieni a vedere cosa ho trovato…. Questo fa proprio al caso tuo!!! – ribadì soddisfatto.
Giacomina arrancava in direzione del bruco ed arrivatagli finalmente accanto vide i gusci vuoti e, stupita, guardava senza comprendere tutta quella speranzosa esultanza:
Cosa hai trovato? – chiese.
Uno di questi involucri vuoti potrebbe sostituire degnamente la tua casetta… cosa ne pensi? disse Pelosino.
Giacomina restava un po’ dubbiosa ed allora il bruco le spiegò cosa avrebbe fatto:
Adesso cercherò di adattare questo bel riccio di castagna alla tua schiena limandone un po’ i contorni, poi toglierò un po’ di spine, ma non tutte, così avrai una casa fortificata e quando deciderai di chiuderti dentro nessuno potrà più infastidirti! Pensa che bel vantaggio!
Pelosino era molto orgoglioso della sua trovata ed aspettava che Giacomina gioisse con lui. La lumachina lo guardò riconoscente, ma gli disse:
Questa cosa mi piace molto, ma non capisco come farò a tenermi la casa sulle spalle, visto che non è parte di me e non è legata alla schiena…..
Questo diede da pensare un po’ a Pelosino, che si accorse di non aver previsto la risoluzione di questo inconveniente. Non si diede però per vinto e cominciò a guardarsi intorno un’altra volta alla ricerca di un’idea geniale.
Ho trovato!!!!!- gridò improvvisamente – strapperemo dei fili d’erba un po’ robusti e legheremo il riccio sulla tua schiena! Sarà un po’ difficoltoso ma vedrai che ci riusciremo.
Pelosino era proprio instancabile e Giacomina cominciava ad essere piacevolmente contagiata dal suo ottimismo ed a pensare che sarebbe riuscita a riavere una casa ed a viverci proprio bene. Ed ecco che il suo nuovo amico aveva trovato la soluzione anche al problema della collocazione del riccio sulle sue spalle ed arrancava soddisfatto verso di lei con un lunghissimo filo d’erba cipollina tra i denti. Quando le fu accanto lo depositò vicino al buccia vuota e prese le misure, constatando che erano perfette: un vero colpo di fortuna che, si sa, aiuta gli audaci!!!
Su – la esortò il bruco – se mi dai una mano faremo in un attimo….. tu cerca di tenere fermo il guscio così riuscirò a lavorare meglio.
E mentre Giacomina tratteneva il suo nuovo alloggio cercando di non ferirsi con gli aculei, Pelosino spinse il filo d’erba tra le spine, facendolo scendere dalla parte opposta, poi aiutò la lumachina ad infilarsi sotto la nuova dimora e, dopo aver fatto scivolare il filo sotto di lei, abbastanza facilmente grazie alla bava che lei produceva in quantità, con le sue instancabili zampette fece un nodo bello stretto e tagliò le estremità in eccesso.
Stanchissimo ma soddisfatto del proprio lavoro restò a guardare Giacomina che
inizialmente restò quasi pressata contro il terreno dal peso del baccello, ma dopo qualche istante riuscì a sollevarsi leggermente ed a trascinarsi qualche millimetro più avanti sudando copiosamente per la fatica.
Dai Giacomina!!!! – la esortava intanto Pelosino – è solo questione di abitudine….dai che ce la fai!!!!!
E fu così che la lumachina riuscì, grazie alla caparbietà ed all’inventiva di Pelosino, a spostare la sua nuova casa ed in pochi minuti vi si trovò così bene che quasi non si ricordò più della vecchia, ma soprattutto si rese conto di aver trovato un amico sul quale avrebbe sempre potuto contare.
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PERLE D’ITALIA
ROMA - La città eterna -
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Prima Puntata
Roma è la capitale d’Italia e capoluogo della regione Lazio. La sua storia millenaria è ricca di fatti e leggende che s’intersecano in un percorso affascinante, costellato di monumenti che attestano la magnificenza di un impero che fu immenso e florido di scambi commerciali con tutto il mondo. Infatti, nei loro domini i romani portarono tutte le loro usanze e la loro cultura, ma soprattutto costruirono strade, ponti e fortificazioni, fondando i primi nuclei di future città, vigilando al contempo sulla loro espansione e sicurezza. Tra mito e tradizione è ormai appurato che i primi abitanti del Lazio furono i Latini di Albalonga, che verso il X secolo avanti Cristo si stabilirono su un colle della riva sinistra del Tevere, precisamente il Palatino, con un villaggio di capanne in paglia ed argilla, circondato da un terrapieno. Nell’VIII secolo a.C. vennero occupati gli altri colli, dando origine a sette villaggi federati (septimontium) che, riunitisi in lega sacra, fondarono Roma. Governata dai re e favorita dalle condizioni geografiche la città conquistò a poco a poco una supremazia derivante dal fatto di essere il più forte baluardo contro le invasioni di Etruschi, Equi e Volsci che premevano ai suoi confini. Il predominio di Roma si estese a tal punto da incorporare tutte le città latine, arrivando poi ad assoggettare tutta l’Italia, preparandosi così alla conquista del Mediterraneo, fino al momento di massima espansione dell’impero romano, che si realizzò nel susseguirsi delle Guerre Puniche durate circa trecento anni, dal 264 a.C. al 44 d.C. fino al 476 d.C. quando venne deposto l’ultimo imperatore. Roma infatti sapeva gestire la pace con i popoli sottomessi usando una politica intelligente che sostituiva la forza con l’influenza culturale, mantenendo il rispetto delle differenze linguistiche e religiose, queste ultime mantenute purché venissero offerti sacrifici all’imperatore ed alle divinità ufficiali dello stato. Spesso, con il passare del tempo, gli dei locali assumevano il nome delle divinità romane: ad esempio, in Nord Africa Saturno impersonò il dio Baal e la sua crudele moglie, Tanit, divenne la dea Giunone. Così si garantiva stabilità alle conquiste, suscitando l’emulazione dei vinti, che accettavano di buon grado la dominazione romana e l’uso della lingua latina. E Roma fu città cosmopolita ad ogni livello sociale, dagli schiavi che vi confluivano da tutte le province ai senatori, che provenivano da Gallia, Spagna, Asia e Nordafrica, fino agli imperatori: Traiano era spagnolo, Antonino Caracalla di Lione, Emiliano e Settimio Severo di origini africane. Da tutto l’impero, quindi, giungevano nell’Urbe soldati, funzionari, magistrati, senatori ed imperatori e le grandi famiglie delle varie province gradualmente abbandonavano i nomi locali per assumere nomi romani. Le strade costruite dai romani con fini militari, quasi 100mila chilometri di lastricato, favorirono inoltre una fitta rete di scambi commerciali, creando quella nuova classe di mercanti che accumulò grandi ricchezze trasportando merci in ogni territorio conquistato ed oltre: il grano dall’Egitto, il vino dalla Grecia e dalla Gallia, l’olio d’oliva dalla Spagna e dall’Italia, giungendo persino in India e nelle steppe russe ed usando sempre, per gli scambi, i sesterzi romani. Roma riusciva ad ottenere il consenso delle popolazioni conquistate portandovi nuova ricchezza ed al contempo esercitandovi un’azione di controllo proprio attraverso le strade, percorse dai messaggeri imperiali del “cursus publicus”, che percorrevano anche 80 km. al giorno di lastricato romano, mentre i funzionari della “cura viarum” provvedevano ai servizi necessari: manutenzione viaria ed ordine pubblico. Le tracce di quest’opera monumentale sono ancora oggi visibili ed affiancando spesso la rete stradale attuale, mentre dalla parola latina “via strata” sono derivate “strada” in italiano, “street” in inglese e “strasse” in tedesco.
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LUISASTELLA BERGOMI |
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