Ordinamento Statale
A seguito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, l'Italia cessò di essere una monarchia e divenne una repubblica. La successiva Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948 , ha stabilito i principi istituzionali cui i massimi organi dello stato devono attenersi e che sono quelli classici delle democrazie liberali, fondati cioè sulla netta distinzione e indipendenza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Al vertice dell'ordinamento è posto il Presidente della Repubblica, che è quindi il capo dello stato e rappresenta l' "Unità Nazionale". Il potere legislativo spetta al Parlamento, formato da due Camere, entrambe elette ogni 5 anni a suffragio universale (le donne ottennero il diritto di voto solo nel 1946) e diretto: la Camera dei deputati, che conta 630 membri, e il Senato, che conta 315 senatori eletti. A questi si aggiungono alcuni senatori a vita; sono tali per diritto tutti gli ex presidenti della Repubblica, cui si aggiungono altri senatori nominati dal capo di stato: nel 1997 i senatori erano 325. Bisogna aver compiuto 18 anni per poter eleggere i membri della Camera dei deputati e 25 anni per essere eletti; bisogna avere 25 anni per poter eleggere i membri del Senato e 40 anni per essere eletti. Il potere esecutivo spetta al Governo, formato dal Presidente del Consiglio dei ministri e dai vari ministri; per entrare in carica il governo deve ottenere il voto di fiducia del parlamento, quindi esprime la volontà della maggioranza degli elettori. In genere il presidente del Consiglio è a capo del partito che detiene la maggioranza alla Camera dei deputati. Tra i ministri alcuni sono detti "senza portafoglio"; essi prendono parte alle riunioni e alle decisioni del Consiglio dei ministri, di cui fanno parte, in modo assolutamente paritario ai loro colleghi "con portafoglio", ma svolgono compiti solo politici: sono cioè privi di quel complesso di uffici della pubblica amministrazione (il "portafoglio") attraverso i quali si riescono concretamente a mettere in atto su tutto il territorio nazionale i programmi governativi. Le due Camere in seduta congiunta, unitamente a tre delegati per ogni regione (un solo delegato per la Valle d'Aosta), eletti dai rispettivi Consigli regionali, così da garantire la rappresentanza delle minoranze, eleggono ogni sette anni il Presidente della Repubblica, che può essere rieletto alla scadenza del suo mandato. Anche se non può intervenire direttamente nel determinare gli indirizzi politici ed economici del paese (come, ad esempio, è consentito al presidente degli Stati Uniti o della Francia), tuttavia non ha solo compiti di rappresentanza e ricopre anche l'incarico di capo delle forze armate. La costituzione italiana, oltre ad attribuire al Presidente della Repubblica una funzione importante in ambito giudiziario, in quanto presiede il Consiglio superiore della magistratura, gli consente di intervenire, in particolari circostanze, sia in ambiti che attengono al potere legislativo, sia in ambiti relativi al potere esecutivo. Se ad esempio il presidente della Repubblica ritiene impossibile il normale funzionamento del parlamento, egli può scioglierlo in qualsiasi momento e indire nuove elezioni (eventi che si sono più volte verificati); è inoltre il presidente della Repubblica a scegliere il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di quest'ultimo, a nominare i vari ministri. Del tutto indipendente e autonomo, come si è detto, è il potere giudiziario. L'amministrazione della giustizia è affidata, per la maggior parte, a magistrati di professione, scelti per concorso e retribuiti dallo stato. Spetta al già citato Consiglio Superiore della Magistratura da un lato tutelare la reale indipendenza dei giudici dal potere legislativo e giudiziario, impedendone le eventuali interferenze, dall'altro decidere su assunzioni, promozioni, trasferimenti, provvedimenti disciplinari che riguardino i giudici. Il Consiglio superiore della magistratura è eletto ogni quattro anni: due terzi dei membri sono eletti dagli stessi magistrati, un terzo dal parlamento. Il sistema giudiziario italiano è impostato sull'assunto che l'imputato di qualsiasi reato ha diritto a due processi, o per meglio dire a un doppio livello di giurisdizione, di Primo grado e di Appello; è inoltre prevista la possibilità di ricorrere a un terzo organo giudicante, la Corte di Cassazione, se si hanno fondati motivi di ritenere che, durante il primo o il secondo grado del processo, siano stati compiuti dai giudici errori di applicazione e interpretazione di quanto stabilito dalla legge. Un ruolo di particolare importanza viene infine svolto dalla Corte Costituzionale , formata da 15 giudici (5 nominati dal parlamento, 5 dal presidente della Repubblica, 5 dalle altre supreme autorità giurisdizionali), che durano in carica per nove anni. Alla Corte Costituzionale è affidata, come dice il nome, la suprema tutela della costituzione, cioè il compito di assicurare la conformità alla costituzione delle varie leggi votate dal parlamento; spetta inoltre alla Corte Costituzionale decidere sui conflitti che possono eventualmente insorgere tra i vari organi dello stato. Ordinamento amministrativo e decentramento dei poteri L'Italia è, dal punto di vista amministrativo, ripartita in venti Regioni, di cui quindici (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto) sono dette a "statuto ordinario", mentre cinque (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta) sono dette a "statuto straordinario" , poiché dotate di ampia autonomia, sia per motivi geografici in quanto aree di frontiera (e "di frontiera" in certo senso sono anche, per la loro insularità, la Sardegna e la Sicilia), sia per motivi etnici, culturali e linguistici. Comunque tutte le regioni, anche quelle a statuto straordinario, trovano limiti alla loro attività nei principi giuridici generali dello stato. L'Italia rimane quindi uno stato fortemente centralizzato. Non a caso, mentre le regioni a statuto straordinario furono istituite poco dopo la nascita della stessa Repubblica, le altre divennero operative solo nel 1970, quindi con un ritardo molto grave rispetto al preciso dettato della costituzione. A loro volta le Regioni sono ripartite in Province, attualmente in numero di 103; le Province sono suddivise in Comuni, in numero di 8102. Solo alle Regioni spetta un pur limitato potere legislativo, di base costituzionale nelle regioni a statuto straordinario, soggetto al potere centrale in quelle a statuto normale; ai comuni e alle province competono solo atti di natura amministrativa. Lo stato è rappresentato in ogni capoluogo di regione da un commissario del governo, incaricato di funzioni di controllo, e in ogni capoluogo di provincia da un prefetto. Comuni, province e regioni hanno propri istituti: un presidente (il sindaco per i comuni), un consiglio e una giunta esecutiva. In particolare, in base all'importante legge sulle autonomie locali entrata in vigore nel 1990, comuni e province rappresentano le comunità locali e ne amministrano le risorse. Sono retti da organi eletti dai cittadini residenti, cioé dai consigli comunali e provinciali (i parlamenti locali), capeggiati i primi dai sindaci e i secondi dai presidenti delle province; questi procedono invece a nominare il proprio "governo", cioè le giunte comunali e provinciali. Dal 1993 vengono eletti direttamente dalla popolazione i sindaci di tutti i comuni (in precedenza solo quelli con meno di 15.000 abitanti); oggi pertanto i sindaci delle grandi città, Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e così via, sono divenuti importanti protagonisti della vita politica nazionale. La spinta a ottenere maggiori poteri autonomi corrisponde d'altronde a richieste di decentramento amministrativo avanzate sin dal secolo scorso, cioéda quando si posero le basi per l'unità d'Italia, da parte di molti storici o uomini politici (da Carlo Cattaneo in modo assai lucido); essi sollecitarono la formazione di uno stato non centralizzato ma federale, sull'esempio degli Stati Uniti o della Svizzera, nei quali al governo centrale spettano solo alcune funzioni, ad esempio la politica estera. Attualmente, tra le forze politiche italiane è in atto la ricerca di una soluzione in senso federalista per la riforma dello stato. Per oltre centocinquant'anni le proposte federaliste non furono prese in considerazione; solo di recente, e per l'iniziale pressione della Lega Nord, governo e parlamento cominciano ad avanzare programmi di federalismo consistenti nell'assegnazione alle regioni di molti dei poteri e dei compiti tuttora svolti dallo stato.
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